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  • Da Anna Stepanovna Politkovskaja all’oppositore di regime Boris Efimovic Nemtsov

    Due storie quasi parallele quella di Anna Politkovskaja, nata a New York il 30 agosto 1958, figlia di diplomatici sovietici, giornalista libertaria, sostenitrice della causa cecena, contro il dispotismo russo di Vladimir Putin, vindice dei diritti civili delle donne e degli uomini ceceni, testimone critica della tragedia di Beslan, contestatrice sistematica di quegli che lei vedeva come il nascente tiranno di Mosca, ovvero Vladimir Putin; e quella di Boris Nemtson, lo scienziato nato a Sochi il 9 ottobre 1959 e brillante studente di fisica all’Università di Gorki, figlio di uno statista russo (Ministro dell’Edilizia).

    Entrambi sono stati uccisi da sicari sconosciuti, l’una nell’ascensore della sua casa di abitazione e l’altro mentre passeggiava con la sua giovane compagna, Anna Duritskaya, una modella ucraina di straordinaria bellezza, lungo le possenti  mura del Cremlino, una fortezza quasi inaccessibile se non a ristretti gruppi organizzati di visitatori, di uno dei quali feci parte io stesso 30 anni fa, prima del frantumarsi fragoroso del colosso sovietico (Novembre 1989).

    Quattro pallottole ferirono a morte Anna, il 7 ottobre del 2006,  quattro pallottole uccidono Boris il 27 febbraio sulla ghiacciata piazza rossa, in un punto in cui il killer si nascondeva dietro uno spazzaneve, che  continuò a percorrere fragoroso la piazza rossa.

    Erano anche quasi coetanei, l’una nata nel 58, l’altro nel 1959,entrambi belli, come tutti coloro la cui bellezza è l’espressione somatica delle loro idealità.

    Boris aveva percorso una brillante, seppure controversa, carriera politica, già Ministro  consigliere di Yuscenko, durante la rivoluzione arancione di Kiev, e, infine, vice premier del governo di Boris Eltsin. Era lì nella piazza, quando Eltsin salì sul carro armato per concionare la folla, e, così, mettersi, attraverso questo atto eroico e superumano, alla guida del popolo russo e divenirne il Presidente.

    Poi, aveva fondato la nuova coalizione liberale democratica e aveva cominciato a criticare Putin, di cui non tollerava la tendenza al dispotismo assoluto:  soprattutto gli rimproverava la volontà di ridurre la indipendenza di uno Stato sovrano quale l’Ucraina.

    La sua critica diventava sempre più serrata e frastornante e di pari passo naturalmente aumentavano le minacce contro la sua vita.

    Qualcuno, rimasto rigorosamente sconosciuto, nel 2009 gli aveva già tirato contro il volto un liquido contenente cloruro di ammonio, e nel suo blog il 10 febbraio 2015, aveva dichiarato di temere fortemente per la sua vita.

    Ed ecco i quattro colpi, inesorabili, raggiungerlo di spalle nella piazza rossa tra San Basilio e la Fortezza.

    Ondate d’urto impressionanti agitano la piazza rossa di Mosca, scossa da un vento che impetuoso e liberale, soffia.

    La grande, trionfale piazza rossa, sulla quale  ancora oggi la grande Russia mostra i suoi muscoli di acciaio, la grande piazza teatro di tutte le storie, è, oggi, palcoscenico delle ire represse che producono rabbia, sotto l’eco silente degli spari contro Anna e contro Boris.

    Michael Gorbaciov tace, ma è vicino a Boris, l’uomo che aveva seguito la Glasnost e  la Perestroika.

    Il popolo non dimentica gli eroi anche se presunti ma ritenuti tali.

    E l’urlo lacerante grida vendetta sotto le grandi mura del Cremlino.

    La grande campana rotta, nei giardini dell’immensa area, portatrice di molti sortilegi, ed emblema in qualche modo dell’autoritarismo, rischia di frantumarsi del tutto.

    Arriverà fino in fondo la rivoluzione contro l’uomo di ghiaccio, dagli occhi vitrei e fissi, l’uomo vissuto nelle stanze del KGB, in quel grande palazzo bianco, come una balena vorace di tutte le libertà?

    Da garantista rigido e sempre aperto al dubbio critico, non mi sentirei di giurare sulla certezza che Putin fu il vero mandante.

    Occorrerà pur sempre un processo  che assai probabilmente, nella umbratile metropoli moscovita, farà la fine del processo di Anna.

    Ma gli indizi sono fortemente in direzione del nuovo zar del Cremlino.

    Inquietante la ritrattazione  dell’ex capo della Polizia cecena Dadayev, della confessione di essere stato l’autore dello sparo, una confessione, estortagli, come egli dice, attraverso sbrigative ed impietose manovre di tortura.

    di Franco Cianci

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