Per limitare il numero di cinghiali sul territorio bisogna vietare la braccata, cioè la caccia collettiva. E’ la testi, apparentemente paradossale, sostenuta dal professor Andrea Mazzatenta durante il convegno ancora in corso presso l’Università di Teramo sul tema ” Il cinghiale e il territorio: dalla ricerca scientifica alla gestione“.
Sulla base di alcuni studi effettuati presso l’ateneo abruzzese e in altre sedi il docente ha stabilito una correlazione diretta e di tipo esponenziale tra il prelievo venatorio esercitato sulla specie cinghiale e quella che può essere definita la strategia di sopravvivenza degli ungulati.
«Se la specie cinghiale è sotto pressione, perché sottoposta a massicci prelievi venatori nel corso della stagione di caccia, – ha spiegato Mazzatenta – essa mette in atto delle strategie di difesa, riproducendosi maggiormente. La pressione sulla specie produce un cambiamento della strategia riproduttiva. I cinghiali passano a quella che viene definita strategia “r”, la dinamica di popolazione basata sul potenziale riproduttivo, caratterizzata nel breve periodo da ritmi di crescita esponenziali. Questa si basa sull’elevata prolificità, sulla rapida maturità sessuale e l’ingresso precoce in riproduzione, e porta alla formazione di una piramide di età a larga base, cioè con tanti piccoli.
Questa strategia è innescata spesso dall’abbattimento della matrona che porta, come conseguenza, alla immediata riproduzione delle figlie che essendo giovani hanno una elevata fertilità, all’aumento dei parti e al ringiovanimento della popolazione. Il risultato finale è un aumento esponenziale della popolazione di cinghiali».
Una delle ipotesi da mettere in campo per limitare le popolazioni di cinghiali quindi, secondo Mazzatenta, è proprio il divieto della braccata. Una tesi che sicuramente farà storcere il muso ad una parte consistente del mondo venatorio e che alimenta ora anche un certo dibattito scientifico.
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