«Un internato ristretto nella prima sezione del carcere di Vasto si è tolto la vita ieri impiccandosi nella sua cella», commenta amareggiato Giovanni Notarangelo, segretario locale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria SAPPE.
«L’ennesimo suicidio di una persona detenuta in carcere dimostra come i problemi sociali e umani permangono, eccome, nei penitenziari. Negli ultimi 20 anni le donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria hanno sventato, nelle carceri del Paese, più di 23mila tentati suicidi ed impedito che quasi 190mila atti di autolesionismo potessero avere nefaste conseguenze. Purtroppo, a Vasto, il pur tempestivo intervento degli agenti di servizio non ha potuto impedire il decesso dell’uomo».
La Segreteria SAPPE di Vasto denuncia anche «le condizioni operative della Polizia Penitenziaria caratterizzate dalle gravissime condizioni di carenza organica del personale di Polizia Penitenziaria della Casa Lavoro con annessa sezione Circondariale. Il personale di Polizia Penitenziaria è allo stremo delle proprie forze: il turno notturno, quando va bene, è assicurato da cinque agenti, numero assai esiguo. Mancano anche progetti affinché gli internati in carcere (per la maggior parte soggetti psichiatrici), socialmente pericolosi che nel contempo vivono un senso di frustrazione e abbandono, siano impegnati a livello lavorativo, visto che oggi passano il proprio tempo oziando per la maggior parte del tempo in cella».
Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria SAPPE, il primo e più rappresentativo dei Baschi Azzurri, richiama un pronunciamento del Comitato nazionale per la Bioetica che sui suicidi in carcere aveva sottolineato come «il suicidio costituisce solo un aspetto di quella più ampia e complessa crisi di identità che il carcere determina, alterando i rapporti e le relazioni, disgregando le prospettive esistenziali, affievolendo progetti e speranze. La via più netta e radicale per eliminare tutti questi disagi sarebbe quella di un ripensamento complessivo della funzione della pena e, al suo interno, del ruolo del carcere. Proprio il suicidio è spesso la causa più comune di morte nelle carceri. Gli istituti penitenziari hanno l’obbligo di preservare la salute e la sicurezza dei detenuti, e l’Italia è certamente all’avanguardia per quanto concerne la normativa finalizzata a prevenire questi gravi eventi critici. Ma il suicidio di un detenuto rappresenta un forte agente stressogeno per il personale di polizia e per gli altri detenuti».
«Fondamentale – conclude Capece – è eliminare l’ozio nelle celle. Altro che vigilanza dinamica. L’Amministrazione Penitenziaria non ha affatto migliorato le condizioni di vivibilità nelle celle, perché ad esempio il numero dei detenuti che lavorano è irrisorio rispetto ai presenti, quasi tutti alle dipendenze del Dap in lavori di pulizia o comunque interni al carcere, poche ore a settimana». Da qui il rinnovo dell’invito al Guardasigilli di trovare una soluzione urgente ai problemi penitenziari di Vasto e dell’intero Paese.