Illustre giovane Presidente,
Lei sicuramente saprà tutta la storia faticosa del decentramento in Italia dei servizi (scuola, salute, giustizia ecc.), che sono talmente essenziali quanto lo sono il nutrirsi o l’assolvere ai tanti bisogni essenziali della vita.
Ricorderà allora che già i grandi e memorabili statisti del periodo post-risorgimentale, preunitario e post-unitario dell’Italia monarchica, intuirono – e raccomandavano – che la territorialità italiana, così difficile ed impervia (una pianura padana particolarmente avvantaggiata nel nord; una catena appenninica, invece, con delle piccole fasce laterali, estremamente impervia e faticosa e sulla quale, tuttavia, furono per secoli annidate popolazioni civilissime da quella italica a quelle meno remote del periodo medievale e contemporaneo) fosse servita da tutti i presidi e da tutti i sevizi essenziali.
In materia di giustizia, nacquero, così, le Preture, disseminate in tutto il territorio italiano, le quali avrebbero prodotto una eccellente messe di giurisprudenza che spesso faceva storia nella giurisprudenza italiana; in quelle Preture si formarono una serie di Magistrati che, colì forgiati, avrebbero percorso le più alte carriere della Magistratura italiana.
In particolare nel Molise, ricordo alcuni Magistrati che da Pretori nelle nostre contrade divennero: Presidenti titolari di sezioni della Corte di Cassazione (Alberto De Santis, Giovanni Nazzaro, Giuseppe Vallillo (Presidente della terza sez. civile della Corte di Cassazione, poi, Presidente della Corte d’Appello di Roma e, infine, Presidente del Tribunale Superiore delle Acque pubbliche); Filippo Lonardo (Presidente di sez. della Cassazione); Franco Trotta, eminente Sostituto Procuratore Generale della Corte di Cassazione e tante altre illustri figure di Magistrati, dei quali non posso ricordare, per ragioni di spazio, mi scuso, i nomi.
Il tentativo di sopprimere alcuni Tribunali fu già avventurosamente tentato e compiuto dal fascismo, che ne abolì molti, tra cui anche, nel territorio molisano, il Tribunale di Larino, ma, poi, lo stesso Governo dovette recedere dalla sua infelice idea ripristinando, nel 1939, tutti i Tribunali soppressi, tra cui Larino.
Vi sono, illustre Presidente, dei bisogni, quali quelli sopra citati, che non possono essere emarginati ed elusi, essi fanno parte della vita stessa di ogni individuo.
L’assolvimento da parte dello Stato di tali bisogni si esaurisce anche con l’avvicinare i servizi ai cittadini e non con l’allontanarne o il renderne più disagevole l’accesso.
Sarebbe un passo indietro pauroso della storia.
Nella storia delle autonomie i legislatori costituzionali del 46-48, individuarono appunto nei principi sull’ autonomia e sul decentramento, il centro nevralgico dell’intera orditura della Costituzione italiana.
Vi fu un momento (negli anni 70 in particolare), in cui per esaltarne la centralità e la funzione, si dichiarò, con enfasi, che lo Stato italiano era diventato lo Stato delle autonomie.
Sono intervenuti, poi, il terribile e diffusissimo fenomeno della corruzione, la sproporzione immorale, tra livelli indennitari stipendiali e salariali; l’assurda rete di migliaia di enti inutili; sprechi di ogni genere, che hanno ben presto ridotto l’Italia ad cumulo impressionante di debiti, per rimediare ai quali si vorrebbe, oggi, frettolosamente, ridurre quei servizi ed eludere, così, lo spirito stesso della Costituzione e degli antichi Statuti.
Ella si accinge oggi – annunciandola come una prodigiosa conquista – ad attuare una delle peggiori riforme in materia di distribuzione sul territorio delle circoscrizioni giudiziarie, che hanno sempre costituito nel nostro paese, il reticolo fondamentale della giustizia italiana.
La ipotesi che si ventila, che inquieta profondamente le popolazioni meridionali e molisane in particolare, è quella per cui dovrebbero essere, in alcune regioni, addirittura, soppressi tutti i Tribunali, tranne quelli dei capoluoghi, e persino le Corti di Appello, con una desertificazione impressionante, paurosa e pericolosa, dei servizi giudiziari in loco, che non si era mai avuta nel corso dei precedenti Governi italiani .
Nel 1990 un analogo tentativo, fu fatto dal Guardasigilli Vassalli, mettendo in subbuglio tutte le popolazioni italiane da Alba (Asti) a Logonegro, da Termoli (CB) a Lanusei, a Tempio Pausania, a Sant’Angelo dei Lombardi, e a tanti altri, ma, poi, lo stesso Ministro recedette da questa iniziativa.
Se si dovesse attuare una siffatta ipotesi, si verificherebbero delle situazioni assolutamente disastrose, contro lo spirito stesso della Costituzione, e del principio fondamentale di eguaglianza anche dei “punti di partenza”.
Concentrare, ad es., in un unico luogo – da dislocare non si sa dove – la Corte di Appello, significherebbe desertificare del tutto una regione: far crollare a grappolo tutta una serie di altre istituzione di carattere giurisdizionale (Corte dei Conti , Tar, ecc).
Si verificherebbe una concentrazione inestricabile di servizi, uomini e veicoli, in determinati luoghi, e deserti totali altrove.
Gli stessi studi professionali – e non solo quelli forensi – anche se fiorenti, posti lontano dai centri ipotetici, diventerebbero studi marginali di periferia, con naturale inclinazione della gente verso gli studi dei centri-sede delle Corti accentrate.
Gli squilibri sarebbero intollerabili : potrebbero provocare delle rivolte.
Mai nessun legislatore aveva immaginato di affrontare questo problema in tal modo, sotto la scusante dei “tagli alle spese”.
Il mondo legale, e quello dei cittadini stessi, è in subbuglio : non si tratta di difese corporative ma di difesa dell’unico, centrale valore della Costituzione italiana: il principio della eguaglianza tra tutti i cittadini.
Ci pensi, sig. Presidente!
avv. Franco Cianci