Le foreste di abeti bianchi e soprani tipiche del Molise Altissimo potrebbero essere affiancate, scendendo di quota, da quelle di bambù gigante. Intere porzioni di territorio, un tempo coltivate e oggi lasciate incolte e all’abbandono, potrebbero essere riconvertite per attivare una filiera green e magari creare anche qualche posto di lavoro.
«Coltivare il bambù gigante potrebbe essere possibile anche in Alto Molise, perché si adatta particolarmente a terreni incolti da anni, quasi abbandonati, senza trascurare che la sua coltivazione rappresenta un utile contrasto al dissesto idrogeologico». Sono le parole di Vincenzo Monaco, un imprenditore nel settore della cosiddetta economia verde e presidente del Consorzio Mediterraneo Bambù. Monaco, che non è originario dell’Alto Molise a dispetto del cognome, lancia un’idea, come un sasso nello stagno della stagnante realtà economica delle zone interne, che potrebbe rappresentare una interessante opportunità di sviluppo locale. Il progetto è semplice: «Implementare le piantagioni di bambù gigante a scopo commerciale ed industriale e creare una filiera con molteplici applicazioni per andare incontro alla biodiversità». Un progetto, assicura l’imprenditore campano, «con molti vantaggi sia ambientali che economici e di filiera per il territorio».
Ovvia l’obiezione, prima ancora di incominciare a parlare del progetto: ma il bambù è una pianta adatta al clima dell’entroterra, con terreni anche abbondantemente al di sopra dei mille metri di altitudine? «Abbiamo ottenuto ottimi risultati nel Beneventano proprio con piantagioni situate intorno ai mille e duecento metri sul livello del mare. Il bambù è una graminacea gigante può raggiungere un altezza compresa tra i 14 e i 25 metri ed ha un diametro che va dagli 8 ai 14 cm, sopporta molto bene le temperature basse, anche fino a meno venti gradi sotto zero» replica sicuro Monaco, quasi a ipotizzare una naturale vocazione dell’Alto Molise verso questa coltivazione. Inoltre, spiega l’imprenditore che ha contattato la nostra redazione dopo aver letto alcune notizie di zona, «le foreste di bambù rappresentano un’eccellente barriera di contrasto al dissesto idrogeologico a difesa del territorio». E qui dunque si tocca un tasto dolente nelle aree interne, quello del dissesto idrogeologico appunto.
«I bambuseti consentono anche di assorbire produzioni organiche provenienti da allevamenti senza inquinare il suolo, riescono a bonificare discariche per la capacità di assorbire metalli pesanti, e aumentano il verde con conseguente miglioramento del paesaggio. Quindi si tratta di innescare un’economia sostenibile e rispettosa della salute pubblica. In un contesto sociale estremamente attento a politiche ecologiche da parte dei consumatori, si avrebbero maggiori strumenti per raccontare la scelta green dell’azienda o di un intero territorio. Si potrebbe puntare a dei veri e propri “distretti verdi”». Un business poco impattante, dunque, con numerosi risvolti in più settori: «Oltre a quello culinario con i germogli di bambù, è possibile rivolgersi ad esempio al settore della realizzazione del parquet, dell’arredamento, quello della produzione di cellulosa per la carta, addirittura la cosmetica e si potrebbe addirittura pensare alla Bio-plastica, ed al settore dell’energia da biomasse con il cippato ed il pellet».
Il Consorzio di cui Monaco è presidente promuove il bambù e stipula dei contratti di ritiro dedicati per la materia prima. «Oltre alla consulenza di un agronomo ed ai rimpiazzi. – aggiunge l’imprenditore, che spera presto di avere dei partner qui in Alto Molise – L’appezzamento minimo è di un ettaro, per minimo 400 piante. L’investimento iniziale è di circa diecimila euro più iva del 10% per ettaro. Bisogna stimare – aggiunge Monaco in chiusura – che oltre ai ricavi stimati in media oltre ai 50mila euro per ettaro, a partire dal quinto anno c’è l’incremento di valore della pianta che una volta grande può avere un valore variabile tra i 500 ed i mille euro». Per chi fosse interessato può farsi un’idea del progetto sul sito www.bambumoso.com.