«Basta col Far West nei boschi e nelle campagne». Lo dice l’on. Michela Vittoria Brambilla, presidente della Lega italiana per la Difesa degli Animali e dell’Ambiente, commentando la notizia dell’incidente di caccia nel Salernitano, che è costato la vita ad un cinquantacinquenne, ucciso dal figlio di trentaquattro anni.
«Esprimo cordoglio alla famiglia colpita da questo dramma – afferma l’ex ministro – ma allo stesso tempo profondo disappunto per la sostanziale indifferenza che le autorità competenti dedicano sia allo stillicidio di morti e feriti per la caccia “legale” – come se fosse un fatto “naturale” e inevitabile, evidentemente allo scopo di non turbare gli “sportivi” intenti al loro passatempo preferito – sia, nonostante luminose eccezioni, per l’insufficiente attenzione al problema del bracconaggio e della caccia illegale, inserito invano nel programma del governo precedente e compreso, vedremo con quanta serietà, anche in quello dell’esecutivo appena nato. Ormai non si contano più i casi di caccia in zone interdette, troppo vicino alle case o alle strade: è una vera e propria emergenza nazionale».
«Cronache come quella odierna – aggiunge l’on. Brambilla – suggeriscono con urgenza l’esame di due proposte di legge che ho depositato in questa legislatura, fermo restando l’obiettivo a medio-lungo termine di abolire del tutto la caccia. La prima riguarda il divieto di cacciare il sabato e la domenica, per tutelare chi nei boschi e nelle campagne va per godersi la natura e non per distruggerla, e alcune misure restrittive. Oggi le distanze di sicurezza da potenziali bersagli come case, strade, ferrovie, mezzi agricoli o animali domestici variano secondo i casi da 50 a 150 metri: vanno sistematicamente raddoppiate, con controlli rigorosi. Riguardo al porto d’armi: mentre le procedure per le richieste motivate da esigenze di difesa personale sono rigidissime, una licenza per uso sportivo si ottiene più facilmente. Vale cinque anni e il certificato medico di idoneità è necessario solo al momento del rinnovo. Troppo poco, soprattutto perché la maggior parte dei cacciatori ha un’età compresa tra 65 e 78 anni: sulla loro perizia nell’uso delle armi è lecito più di qualche dubbio, visto che sbagliano, e molto, anche i giovani».
L’altra proposta riguarda l’omicidio venatorio. «Chi spara nelle campagne e nei boschi e colpisce una persona – afferma l’ex ministro – dev’essere punito più severamente di chi commette un “normale” omicidio colposo, proprio perché il cacciatore maneggia legittimamente un’arma letale, cioè ha maggiore responsabilità. E’ lo stesso principio seguìto per dare vita al reato di omicidio stradale e la pena base che vorrei applicare è la stessa: da due e sette anni di reclusione. Del resto, secondo un’inchiesta condotta l’anno scorso da “National geographic”, la percentuale dei morti “da caccia” è, fatte le dovute proporzioni, simile a quella delle vittime per incidenti automobilistici, con la differenza che oggi spostarsi in automobile è spesso inevitabile mentre la caccia non è affatto necessaria».
Nelle 12 stagioni di caccia tra il 2007 e il 2019, secondo l’Associazione vittime della caccia, ci sono stati 230 morti e 854 feriti, senza contare gli incidenti con armi da caccia fuori dall’ambito venatorio.