Benvenuti nell’Alto Molise, dove l’aria è pulita, la natura incontaminata e le promesse politiche sempreverdi come i boschi che circondano Agnone. È qui che giovedì scorso è arrivata in visita istituzionale Grazia Matarante, direttrice amministrativa dell’ASReM, per presentarci – rullo di tamburi – il fascicolo sanitario elettronico. Peccato che, di sanitario, da queste parti sia rimasta solo la nostalgia.

Ma la vera chicca non era il pdf digitale delle nostre cartelle cliniche, bensì l’ennesima apparizione messianica sul futuro dell’Ospedale “Caracciolo”, ormai ridotto a reliquia di una sanità che fu.
La direttrice ha dichiarato con tono solenne: «L’ospedale non chiuderà. Non può chiudere. È un ospedale di area disagiata!»
Grazie. Ce l’ha detto anche Google. Eppure, mentre la burocrazia si aggrappa al Decreto Ministeriale 70 come fosse la tavola di Mosè, la realtà di chi vive qui è semplice e brutale: non ci sono medici. Non è che manchino, proprio scappano quando scoprono che la sede è Agnone.

E quindi? Cosa resta di un ospedale senza medici, senza reparti, senza futuro? Resta una struttura vuota, buona per farci una escape room sulla sanità molisana: “Riuscirai a trovare un dottore entro 48 ore? Spoiler: no.”
E così, il Caracciolo si conferma per l’ennesima volta l’Isola che non c’è. Peter Pan ci volava, la Matarante ci va con l’auto aziendale e torna giù con la convinzione di averci fatto un favore. Intanto, i molisani dell’Alto – e non solo – continuano a viaggiare chilometri per un’ecografia, un parto, una frattura.
In sala consiliare erano presenti una cinquantina di cittadini, pochi ma buoni, e sicuramente abbastanza disillusi da capire che il vero messaggio della giornata era: “Non possiamo chiudere l’ospedale, ma neanche aprirlo davvero.”

La soluzione proposta? Case di comunità, specialistica ambulatoriale, piccoli interventi. Sembra la ricetta di uno che ha bruciato la casa e propone di accamparsi in giardino con una tenda Quechua.
E certo, si è parlato anche di bonus, alloggi gratuiti per i medici, incentivi vari. Peccato che queste trovate le abbiamo già sentite e viste fallire. Alla fine, il medico resta a Termoli, a Campobasso, o se ne va direttamente in Emilia, dove almeno un reparto esiste davvero e non solo sulla carta.

Il problema non è il Caracciolo in quanto ospedale. Il problema è che nessuno ha mai voluto davvero tenerlo in vita. È stato progressivamente svuotato, delegittimato, smontato pezzo per pezzo, fino a ridurlo a un fantasma a cui ogni tanto si fa visita per mettere una pezza e qualche firma.
L’unica cosa davvero “disagiata” qui non è la zona, ma la gestione politica e sanitaria che, da anni, usa il Caracciolo come bandiera da sventolare in campagna elettorale o conferenza stampa. Peccato che con le bandiere non si curino i pazienti.
Cara Matarante, grazie per averci ricordato che non chiuderete un ospedale già mezzo morto. Ma se davvero volete essere credibili, iniziate a fare quello che da anni nessuno fa: lavorare perché il Caracciolo torni a essere un ospedale. Vero. Vivo. Operativo.
Perché di isole che non ci sono ne abbiamo abbastanza. Ora servirebbe qualcuno che venga qui, davvero, a rimboccarsi le maniche. E non solo a dirci che “non può chiudere”.
mdo