Cinghiale positivo alla trichinella in uno dei centri dell’Alto Vastese. L’esemplare è stato prelevato in caccia di selezione qualche settimana fa. Il cacciatore di selezione che ha proceduto all’abbattimento ha prelevato un campione di muscolo diaframmatico e lo ha inviato presso i laboratori che effettuano l’analisi trichinoscopica per contro del servizio veterinario della Asl.

Dopo giorni di attesa l’esito dell’esame: il cinghiale è positivo alla trichinella. Scatta il sequestro da parte del competente servizio veterinario e vengono avviate le pratiche per la distruzione della carcassa al fine di evitare la propagazione del focolaio di trichinella.

Casi analoghi, negli anni scorsi, sono stati efficacemente risolti, in accordo e su disposizione delle stesse autorità sanitarie, con l’interramento della carcassa dell’animale ad una profondità adeguata. Ora però le cose sono cambiate e non è possibile procedere all’interramento, ma bisogna smaltire le carni infettate dalla trichinella attraverso ditte specializzate. Ed è qui che si arriva al punto dolente della vicenda. Il costo di smaltimento è a carico del cacciatore che ha effettuato il prelievo.

Il monitoraggio della trichinella viene effettuato dalla Asl proprio per tenere sotto controllo gli eventuali focolai ed evitare il propagarsi dell’infestazione, trattandosi di una zoonosi, cioè una malattia trasmissibile dagli animali all’uomo. E infatti i costi delle analisi di laboratorio sono a carico del servizio veterinario della Asl, proprio perché rientrano in un piano di prevenzione pubblica. Al contrario i costi di smaltimento delle carcasse risultate positive alla trichinella non vengono sostenuti dalla Asl, ma sono “scaricati” sul cacciatore.

L’abbattimento di quel cinghiale e il suo successivo smaltimento è costato al cacciatore in questione trecento quaranta euro. E se c’è un animale positivo alla trichinella, è possibile che ne vengano fuori altri in quella zona, ma anche nelle zone limitrofe visto che gli ungulati si muovono su un vasto areale. Potrebbero verificarsi dunque nuove positività i cui costi di trattamento e smaltimento ricadrebbero sulle spalle e sulle tasche dei cacciatori.

Una problematica di cui la politica regionale dovrebbe farsi carico, perché stando così le cose, con il rischio di dover tirare fuori quasi quattrocento euro per ogni cinghiale positivo alla trichinella, intuibilmente i cacciatori sono disincentivati a continuare a fare i prelievi di diaframma da inviare in laboratorio. E salterebbe, così, tutto il sistema di monitoraggio e prevenzione posto in essere dal servizio veterinario della Asl.
Francesco Bottone